Portofino è uno di quei luoghi che sembrano usciti da un dipinto: il mare cristallino, le case dai colori pastello che si riflettono sull’acqua, l’atmosfera sospesa tra lusso e tradizione. È facile innamorarsene a prima vista. Ma un viaggio non è fatto solo di panorami, è anche – e soprattutto – esperienza. E purtroppo, il mio pranzo in uno dei ristoranti della zona è stato tutt’altro che indimenticabile.

Dopo aver aspettato a lungo per ordinare – senza successo – ho avuto un malinteso su quella che credevo fosse la fila per pagare, ma che in realtà era quella per il bagno. Un dipendente del locale, invece di chiarire la situazione con cortesia, ha deciso di trascinarmi per un braccio e insultarmi, probabilmente pensando che non capissi l’italiano. Quando ho risposto nella mia lingua madre (e aggiunto che, a differenza sua, ne parlo altre tre), il suo atteggiamento è cambiato completamente, passando da ostilità a imbarazzo. A quel punto, un’offerta di un amaro in segno di scuse era decisamente fuori luogo.
Così, tra un’accoglienza discutibile e un servizio che non si è dimostrato all’altezza, il pranzo si è concluso con la decisione di andarcene altrove. E questa non è la prima volta che noto una certa sufficienza nei confronti dei clienti nei luoghi più turistici, dove sembra che l’afflusso garantito di visitatori renda superflua l’attenzione verso l’ospitalità.
È un peccato, perché la ristorazione dovrebbe essere un connubio di cucina e accoglienza. E se l’una manca, anche l’altra perde valore.
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